Ho detto Fabrizio? Volevo dire Mauro, ma pensavo a Giorgio
Sono i libri a scegliermi, ne sono convinto.
Cioè, anch’io scelgo dei libri di mio piacere e interesse, ma capita con una certa regolarità che siano loro a scegliere me.
Il primo che ha fatto questo passo, ad esempio, aveva una copertina con un veliero incagliato in una specie di foresta di pietre. Avevo 16 anni e l’autore non ha mai saputo che ho partecipato in qualche modo alla sua fortuna di pubblico e di critica.
Insomma, questo cane su Ciao mi guardava nei pressi della cassa e aveva un paio di argomenti decisivi: le dimensioni ridotte e il prezzo. Sono pigro, leggo poco e queste due qualità mi hanno convinto.
Anche il titolo ha fatto la sua parte, trascinandomi in un vortice di memorie, che come poi vedremo risulteranno fatali nell’incontro con l’autore.
On the road again è una canzone piuttosto mantrica degli anni ’60, che ascoltavo a Per voi giovani e, per non perdermela mai, compravo Sorrisi e Canzoni TV perché pubblicava la programmazione della trasmissione con l’elenco dei brani, insomma la compilation.
Come da rito, prima dell’acquisto bisogna sfogliare il libro, leggere velocemente le quattro di copertina, assumere un’aria interessata (mai entusiasta) e far finta di capire e intendersene: un po’ come quando al ristorante ti versano del vino e tu devi entrare nella parte dell’esperto.
Dalla lettura distratta ricavo che Giorgio Olmoti, questo è l’autore, è una specie di Fabrizio Corona di pianura.
Ho detto Fabrizio? Scusate, volevo dire Mauro.
La libraia mi avverte che da lì a poco l’autore lo avrebbe presentato in libreria e torno a casa con il proposito di arrivare preparato alla serata.
Con buona intenzione leggo il primo racconto (altro pregio, i libri di racconti sono più sopportabili o meno insopportabili, alla bisogna) e per la solita pigrizia mi fermo lì.
Come si vedrà, è un bel racconto di merda, ma attenzione: è l’argomento, non è un giudizio di valore.
Arriva la sera fatidica e mi reco quindi alla libreria Il Gatto che pesca, dove si riuniscono i più raffinati intellettuali di San Mauro Torinese. Le gentilissime libraie hanno tuttavia sempre bisogno di qualcuno che finisca la pizza e invitano ogni volta anche me. Ho il libro in bella mostra e vengo anche presentato all’autore, ma subito nasce l’equivoco per cui sembrerebbe che io abbia letto tutto il testo.
Che diamine, io i libri li compro, mica li leggo!
Vengo colto dal panico dell’interrogazione, quel terrore razionalissimo che mi porto dietro dal liceo. Cerco un posto a sedere fuori vista, ma implacabilmente Antonella mi spinge al centro della saletta. Penso quindi subito ad una domanda da porre all’autore al termine della presentazione, prima che lui possa interrogarmi su qualcosa, proprio come al liceo. Sarà una domanda tra di noi, insomma una domanda da porci; clausola che risulterà molto pertinente al tema.
Olmoti comincia a parlare ed è subito chiaro che di mestiere fa il mentalista. Probabilmente qualcuno gli avrà detto che sarebbe arrivato uno così e così (altezza, peso, età, scriminatura) e lui ha organizzato la scena. Ha cominciato a parlare di storia, di ricordi condivisi, di oggetti della memoria. Insomma, non ci casco, almeno non subito. Perché finché si tratta di capire che ho vissuto il periodo del moplen è facile. Altrettanto facile ricordare i sandali e gli infradito, ma chi gli avrà mai detto che mia madre è andata a protestare con la maestra elementare, perché pensava che fossi meridionale e pertanto scarsamente propenso ad imparare? Chi? D’altra parte i mentalisti non svelano i loro segreti e voglio anche precisare, per la cronaca, che io sono torinese puro sangue da una generazione: la mia.
Per fortuna, la serata corre poi liscia. Giorgio Olmoti ci racconta del suo viaggio nel Friuli in Ciao, che non è un treno ad alta velocità ma è proprio il motorino originale a bassa andatura. Il racconto è esilarante, godibilissimo e piano piano ho la netta sensazione che potrò mangiare la mia pizza bianca senza soffrire troppo.
Dopo questo racconto friulano, diciamo off topic (frequentando gli intellettuali della libreria s’imparano anche questi termini), lo scrittore attacca a parlare dei racconti del libro, li narra proprio, li rielabora, ce li fa vivere.
Veniamo trascinati in una vorticosa esperienza multisensoriale: sentiamo il profumo di un allevamento intensivo di suini con l’esperienza tattile della piena immersione, gustiamo il sapore dello Zabov, udiamo i versi faunistici di un orologio sonoro e tutto passa sulla retina del nostro occhio nascosto.
Appagato dal racconto, il mio io pigro elabora la perversa idea che non avrò più bisogno di leggerlo tutto. Ma non è andata così, il libro mi aveva scelto ed io per rispetto (desiderio, voluttà, interesse, passione) l’ho consumato. A mio modo ovviamente, non tutto d’un fiato, alla “Adelante Pedro, con juicio”, saltando dei racconti per riprenderli successivamente.
Com’è il libro? Pigroni anche voi, troppo facile così! Andate a comprarlo al Gatto che pesca e non ve ne pentirete (del libro e della libreria).
Ma una cosa posso rivelarla: io non ho mai letto nulla di Mauro Corona, ma secondo me è una specie di Giorgio Olmoti di montagna.
Giorgio Olmoti, On the road again – ‘round midnight edizioni
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